Ho più volte pensato che Dio stesso mi avesse preso di peso dalla mia pigra quotidianità per sottopormi a questa scuola straordinaria di vita e di umanità.
Io spesso così “aereo” nelle mie elucubrazioni, così amante del capire e del teorizzare mi sono trovato a condividere, a toccare, a conoscere ed infine ad amare il mondo degli esclusi: quel mondo che nessuno rappresenta, che nessuno vuole vedere: il mondo degli ammalati,
dei vecchi, dei deboli. Un mondo non sempre piacevole da incontrare,
dove le persone sono frequentemente arrabbiate, talvolta rancorose
(forse più per l’abbandono cui sono sottoposte che per motivi
fisiologici come spesso si crede).
Povero
me così piccolo nel saper amare ho cercato di distribuire un po’
d’amore: proprio io ancora così bisognoso e carente ! Eppure sì che ci
ho provato, ci ho provato con tutto il cuore e non so veramente se ho
più dato o più ricevuto ….
In questo periodo ho pensato lungamente a Don Gnocchi nel cui istituto sono stato accolto per la riabilitazione cardiaca, al suo amore per i più piccoli e i più deboli, a come tutto si sia propagato grazie al suo amore "spicciolo" più che per le strutture che non ha neppure potuto vedere realizzate: è proprio quell’amore che nonostante tutto, nonostante la sua paura di scoprire che tutto si svolgesse in modo “impiegatizio”, ancora si percepisce nelle piccole gentilezze di coloro che lavorano in questi luoghi e proprio perché questa cura gentile l’ho percepita posso dire che essa è
essenziale, quel tocco particolare è ciò che è in grado di consolare e
di accendere il cuore, non è efficientismo e talvolta non è neppure
efficace ma si caratterizza per uno sguardo che dice “io ti vedo, io ti soccorro, io ti voglio bene …”: è solo quello l’amore che è capace di attraversare il tempo e le economie, è proprio un amore ad imitazione di Cristo.
Come
mi cambia e come mi ha cambiato la fatica di incontrare gli ammalati,
incontrando con essi la mia stessa resistenza al disagio della malattia,
come mi ha cambiato il doverli capire incontrando la loro apparente
scontrosità e la finta spavalderia ! Com’è difficile riconoscere dentro
di sé un amore per questi piccoli e come fa paura scoprire di amarli, amare significa vivere l’impossibilità di essere indifferente di fronte alla loro infelicità o debolezza, capisci che la realtà di queste persone ti coinvolge, diceva una canzone brasiliana “… come posso esser felice se è povero il mio fratello …”, condivido profondamente questo sentimento e vorrei tanto fare di più. Quando percepisci questo dolore , senti
che l’amore è prima di tutto una responsabilità, non tanto una
responsabilità del fare (che viene da sé) ma la responsabilità di
esserci, di relazionarci con questa “sofferenza” di non censurare nulla del dolore del mondo, ma di provare a condividerlo.
Noi
pensiamo spesso al nostro convertirci come a qualcosa che significa
cambiare, essere diversi, come ad un impegno a cui piegarsi, una sorta
di fare più o meno volontaristico, io sto scoprendo però che il
convertirsi è un farsi coinvolgere, un cedere, molto più che un conquistare.
In
questo momento mi viene da pensare che noi continuamente ci separiamo
da ciò che la realtà ci presenta fino al vivere al di fuori della vita
stessa. È questa in fondo la condizione più profonda di quello che noi
chiamiamo peccato. È questa l’unica condizione in cui è possibile
davvero perpetrare il male senza esserne sconvolti, perché il male non ci tocca, anch’esso è separato da me così come l’altro è separato da noi.
In fondo Cristo ha prima di tutto condiviso: è un dio che non è rimasto indifferente/separato
ed in fondo tutto ciò che ci chiede è di stare innestati a lui.
L’innesto infatti rende la pianta selvatica albero fruttuoso …
MM
MM
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