09 novembre 2010

Balbettii sulla felicità

Cosa c'è di più pensato, di più cercato, di più sperato della felicità: cosa si può desiderare di più? 
Al tempo stesso cos'è meno presente in questo mondo, in questa umanità, in questa storia, cosa vi può essere di più raro da cercare ...

Cosa non è (per la mia esperienza) la felicità: non sono i soldi, non sono l'avere, non è il potere, non è il "non fare", non è il collezionismo ...  anzi tutte queste cose sembrano avere in sé una pulsione di morte, portano ansia e preoccupazione costante, uccidono il desiderio poichè ogni desiderio è realizzabile nel momento in cui lo si formula e quindi non è già più "desiderio", progetto, al tempo stesso i desideri più profondi rimangono sempre irrealizzabili, trasformano l'altro in un concorrente o nel migliore dei casi in uno specchio in cui vediamo la nostra presunta "invidiabilità" e superiorità.
Più si ha e più è difficile mantenere: più è facile perdere e col perdere "le cose" si perde sè stessi ormai cosa confusa fra le cose.

Felicità: se mai sono stato felice - ma al tempo stesso se mai è la felicità ciò che mi serve - è stato quando ho potuto esprimermi ... diciamo che normalmente siamo arrotolati su noi stessi come certe foglie prima di maturare, ebbene la felicità è stata per me il momento in cui mi sono dispiegato, in cui la mia vita si è palesata alla luce, al mondo, attraverso un fare ma soprattutto attraverso un relazionarmi ed un esserci ... è come dire mi manifesto dunque sono e in quel sono e in quel diritto ad esserci e a dirmi, ho trovato sprazzi di felicità - ma ancora a me stesso dico e ancora penso: è la felicità ciò che veramente mi serve ?

Trovo felicità nell'amare e nell'essere amato ... ma com'è difficile mantenere l'equilibrio dell'amore : dentro di noi c'è ancora e sempre il desiderio di qualcosa di più, forse di un amare e di un essere amato così idealistico, così utopistico, che non può che infrangersi sulle nostre contraddizioni e sulle nostre inadeguatezze ... l'amore è importante, ma non basta a darci la felicità!
Si scopre amando che l'amore non può essere una stampella: si scopre che ama davvero e più profondamente, io credo, colui che può dire ad ogni momento "ti amo per ciò che sei , non per ciò che mi dai". Ma questo comporta una maturità pregressa, richiede persone che siano state molto amate. Ma chi sa darci un amore a cui sia possibile appoggiarsi ?

Trovo sprazzi di felicità nel potermi esprimere come sto facendo ora, ma soprattutto nell'interloquire, nel confrontarmi con altri, non posso dire che sia stato proprio l'interloquire il motivo di soddisfazione maggiore tuttavia questo mi fa sentire presente al mondo ... più vivo, forse perché dice la mia capacità di comprendere e quindi, ancora, il mio diritto d'esserci, forse perché mi risveglia e mi rende maggiormente capace di guardarmi attorno e di sentirmi parte del cielo e della terra, della natura e delle persone, del cemento e dell'erba ... sensazione sfuggente ... così facile perdere il contatto col terreno e diventare "palloncino" portato dal vento e quindi profondamente ... infelice. 

Ma forse bisogna fare un passo indietro e partire da quel nascere e da quel crescere che ci consegnano al mondo. Al mio compleanno ho detto una cosa che sento come profondamente mia: ovvero che ciò che mi ha dato forza nei momenti più difficili è il fatto di sentirmi - a questa vita - figlio voluto cercato ed amato non solo dai miei genitori "adottivi" (quelli "terreni": così inconsapevoli e incapaci di "senso") ma da un Genitore che tutto genera compreso il mondo stesso.
Questo è ciò che più di tutto mi dà un "senso" e da quel senso tutto deriva, deriva anche il senso del fare e delle cose della vita tutta e senza quel senso tutto diventa inutile senza significato ... quel senso mi dà concretezza ed aderenza al suolo. Tanto più che quel senso ha una sintesi, una forma ed un apparire nella figura storica di Cristo.  

Adempiere a quel senso non di uomo isolato ma di figlio è ciò che mi può dare quella pienezza - a questo punto abbandono quella parola felicità che mi sembra così inadeguata rispetto alle mie attese - pienezza che mi ricorda in modo straordinario l'acqua che Gesù offre alla samaritana un acqua che placa la nostra sete, quella sete profonda che ci porta alla ricerca della felicità  ...

Conclusioni provvisorie: forse non me ne è mai fregato niente della felicità, è solo un termine che esprime uno stato di ebbrezza che non può che essere momentanea, desidero più di tutto la "pienezza" di essere figlio come Israele era figlia e sposa del Dio dell'Alleanza.
Se mai ho provato la felicità è stato proprio nel riconoscermi in questo essere figlio amato - nella fiducia di scoprire un padre non inventato ma RITROVATO o più precisamente SVELATO - e nel sentirlo al mio fianco nei momenti più drammatici.

La pienezza la trovo nel calcàre questo mondo così come sono: prima di tutto così come sono - e poi, se mai, cercando di migliorare me stesso per amore dell'amore del padre e non di me stesso.
Tutto comunque parte da quell'essere riconosciuti, in quel "parlare" che nell'episodio della samaritana lui fa di lei ... e quindi in quell'essere implicitamente accettati che Gesù gli offre ... o da quel rinascere di spirito di cui Gesù parla a Nicodemo: rinascere dall'alto lo chiama. Partire dal riconoscimento del suo amore ? 
Bah, sono partito dalla felicità e sono finito al solito a parlare di Dio: non è che lo volessi, ma è che lì "finisco" ... forse perché lì sono iniziato.

Un asino che cerca di volare. MM

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